Ben Ormenese e i suoi tempi, 12 giugno – 15 settembre 2021, Pinacoteca Comunale “Antonio Sapone”, Gaeta
Il 12 giugno 2021 alla Pinacoteca Comunale “Antonio Sapone” di Gaeta inaugurerà la mostra Ben Ormenese e i suoi tempi che in un percorso antologico di oltre quaranta opere, dalla metà degli anni sessanta sino all’ultima stagione creativa, evidenzia (in una sorta di riscoperta) come il maestro friulano sia stato uno tra i maggiori interpreti di quel grande versante “oggettuale” dell’arte contemporanea che, da Lucio Fontana, giunge vivissimo sino ai nostri giorni.
Per questo, il percorso antologico di Ben Ormenese (1930-2013) è corredato con importanti opere di altri maestri, di rilievo nazionale e internazionale, che per affinità di ricerca o per amicizia, hanno vissuto i tempi di una poetica durata mezzo secolo. Tra questi Agostino Bonalumi, Paolo Scheggi, Dadamaino, Gianfranco Pardi, Jorrit Tornquist, Alberto Biasi, Horacio Garcia Rossi, Julio Le Parc, Felice Canonico, Paolo Conti, Franco Costalonga e Ennio Finzi.
Del resto, nella Milano degli anni sessanta e settanta (dove Ormenese lavorava), l’apertura culturale e il clima di confronto intellettuale in cui erano coinvolti, oltre agli artisti, le gallerie, i critici e persino i collezionisti, permisero la formazione di sodalizi artistici e, talvolta, di veri e propri gruppi, in grado di porre le basi di buona parte dell’arte contemporanea.
L’originale ricerca di Ormenese, pur in una straordinaria coerenza, non ha cessato di rinnovarsi nel corso dei decenni, in un rapporto serrato con le problematiche dello spazio e della luce, che l’hanno spesso fatto affiancare ad alcune tra le poetiche più importanti di quegli anni.
È poi nota la crisi dell’artista, che lo portò nel 1978 a bruciare, in un notturno falò, le sue opere e ad abbandonare Milano, per tornare in Friuli. Come scrive in catalogo Leonardo Conti: “Quando un artista abbandona e smette di fare opere ci mette in uno stato di apprensione. È l’immagine della morte dell’artista ancora vivo ad atterrirci. Non riusciamo a comprendere il senso di questa fine senza l’ineluttabilità della morte. Il gesto radicale di Ormenese è stato parte indissolubile del suo modo integrale di calarsi nella ricerca. L’interesse per le forze ambientali, spaziali e luminose, in cui ogni sua opera prende corpo ma tende anche a disintegrarsi, restituendosi alla dinamica generale, non potevano che mettere in gioco l’artista stesso. Il suo agire, immerso tra quelle forze, lo poneva in bilico tra l’essere e il non essere. Il nome dell’artista, la sua firma e tutto ciò che concerneva l’autorialità, lo mettevano in scacco. Nel momento esatto in cui sentì concretizzarsi intorno a sé qualcosa che assomigliava alla fama, il maestro scelse una delle linee di fuga, che da ogni parte si sprigionano dalle sue opere. Abbandonare significava rinunciare al privilegio del nome, ma non significava smettere di essere artista. Solo così, in bilico tra presenza e sparizione, la libertà dell’attimo poteva irrompere e, in una grande strategia, la ricerca dell’opera e la ricerca dell’uomo potevano coincidere”.
Dopo diciotto anni di ricerca in completa solitudine, Ormenese decise di ritornare sulle scene dell’arte tra il 1996 e il 1997, ancora una volta realizzando opere altissime, per la capacità di costruire con la luce degli inediti spazi interni alle opere. Questa propensione a captare la luce (con sistemi di specchi e incurvando le superfici), per ridistribuirla nelle opere, l’hanno fatto spesso affiancate, per affinità, al Cinetismo internazionale. In mostra è ben documentata e approfondita anche questa fase della ricerca (tra il 2000 e il 2013), affiancando le opere di Ormenese a quelle di alcuni dei maestri con cui è stato esposto in diversi musei del mondo.
Un’ultima sezione del museo è poi dedicata a opere d’importanti artisti contemporanei, che, nella loro intangibile originalità, e in una sorta di ideale continuità con le idee del maestro, hanno deciso di creare un’opera che sia un omaggio a Ormenese. Tra questi Matteo Attruia, Bruno Bani, Carlo Colli, Marcello De Angelis, Ivano Fabbri, Francesco Fienga, Silvia Inselvini e Giorgio Kiaris.
Approfondimento critico:
Già alla seconda metà degli anni sessanta, quella di Ormenese è una sorta di spazialità molteplice, dovuta all’incontro tra più energie, quelle interne alla forma, che si propaga nell’ambiente e quelle dell’ambiente stesso, inteso come campo di forze e di luce.
Nel ciclo cosiddetto dei Legni laccati, l’artista costruisce forme ondulate a incastri, in cui il modello della quadratura è costantemente forzato, in un’espansione plastica debordante rispetto ai margini esterni.
Il materiale che Ormenese viene plasmando sono le forze: per questo le opere spingono i bordi, li incurvano e s’incurvano, cessando persino di accadere su un unico piano, alzandosi e abbassandosi secondo declinazioni dell’intensità. Quelle di Ormenese sono così forze nude, agiscono mentre si fanno. Sono lo spazio stesso che si manifesta nel suo essere campo inquieto, dinamico, luministico. Anche la luce, infatti, è per l’artista un problema di spazio: per questo, nelle opere della fine degli anni novanta e duemila, è captata, plasmata e distribuita secondo direttrici d’ombra e campi abbacinanti (come nei cicli delle Levitazioni, Fluttuazioni e Teatrini musicali).
Ogni linea di Ormenese è in grado di connettersi con tutto ciò che la circonda, per armonizzarlo ed equilibrarlo, per sporgersi ancora più in là, squilibrandosi nuovamente in ogni imprevista posizione, per poter ripartire ancora verso indefinite e imprevedibili connessioni. Ormenese ha sempre rifiutato ogni concetto di ambiente esterno, inteso come luogo inerte: tutto ciò che era concepito come sfondo, parete, spazio, diviene parte integrante di una tangibile visibilità, in una corrispondenza strutturale sorretta dalle medesime forze. Anche i legni degli anni settanta, bruciati o bruniti, sono fatti di incastri e vettori, che intercettano e dirigono le forze in cui si manifestano. Gli spazi della parete non sono vuoti, non sono esterni, sono parti dell’opera, sono interni/esterni, luoghi di attraversamento e di solidità di una spazialità integrale. Ormai non ha davvero più senso parlare di supporto su cui dipingere, di materiale con cui fare, perché il supporto, il materiale, nel suo farsi, è la pittura stessa. Ormai non c’è più differenza tra scultura e pittura, perché dalla parete le opere hanno già mosso il primo passo verso lo spazio tridimensionale, proprio in mezzo a noi. È la massima auto-affermazione della superficie, della forma, della plastica, il gesto più alto e sublime dell’individualità: il divenire altro.
In tal senso, la mostra Ben Ormenese e i suoi tempi vuole celebrare la capacità di una certa arte contemporanea di reinventarsi, partendo sì dalla messa in discussione di ogni criterio stabilito, ma con la ferrea determinazione di essere legata alla costruzione di modelli di comportamento.
- NOTA BIOGRAFICA DI BEN ORMENESE
Ben Ormenese nasce a Prata di Pordenone nel 1930. Nei primi anni sessanta decide di trasferirsi a Milano, abbandonando la facoltà di architettura, per dedicarsi interamente alla pittura. Dal 1964 iniziano le sue ricerche incentrate sul legno. Di questo anno è la mostra alla Galleria San Luca di Verona e del 1966 alla Galleria Vinciana di Milano. Nel 1968 approda alla Galleria Vismara e alla Galleria Blu. Nel 1970 alla Galleria Falchi, sempre a Milano. Nell’arco di pochi anni vengono organizzate mostre in Italia e all’estero, dalla Galleria Ravagnan di Venezia, alla Teufel di Köln e alla Royal Academy di Londra nel 1978. Alla fine degli anni ’70 Ormenese si chiude in un periodo di profonda crisi, che lo porta ad abbandonare Milano per ritornare in Friuli. Ricomincia la sua attività espositiva nel ’98, con una mostra antologica nella sede della storica Galleria La Loggia di Bologna. Nel 2002 è invitato alla mostra Testimonianze del Cinetismo in Francia e in Italia a fianco di Julio Le Parc, Horacio Garcia Rossi, François Morellet, Hugo Demarco, Francisco Sobrino e Alberto Biasi, esposta prima ai Musei di San Salvatore in Lauro di Roma e poi alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Spoleto. Nel 2003 espone nella doppia mostra antologica Ben Ormenese e Franco Costalonga, I silenzi e rumori della ricerca, nella Galeria Nazionale di Villa Pisani a Strà. Nel 2004 partecipa alla mostra Dipingendo l’Europa, in occasione di Genova 2004 Città Europea della Cultura. Del 2005 è la mostra antologica all’Università di Innsbruck. Del 2006 è l’antologica Ben Ormenese. Teatrini e altre apparizioni al Palazzo del Senato di Milano, e dello stesso anno sono la mostra alla Galleria d’Arte Moderna Manes di Praga e la partecipazione a Testimonianze dell’arte cinetica in Italia e in Russia al Museo Hermitage di San Pietroburgo.
Nel 2007 espone alla Galleria d’Arte Moderna di Lubiana e al Loggiato di San Bartolomeo di Palermo. Del 2009 è la mostra antologica Ben Ormenese. Per un instabile equilibrio, a Palazzo Regazzoni Biglia di Sacile. Nel 2012 partecipa all’esposizione Arte programmata e cinetica alla GNAM, Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Muore a Sacile nel 2013. Nel 2014, come esecuzione della volontà del Maestro e della famiglia, nasce l’Archivio Ormenese curato e diretto da Leonardo Conti.
Nel 2019 due sue opere sono esposte alla mostra Lucio Fontana. La sua lunga ombra, quelle tracce non cancellate, al Museo Archeologico Regionale di Aosta e nello stesso anno è alla mostra Lucio Fontana. E i mondi oltre la tela, tra oggetto e pittura alla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone.
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