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Diego Sasso e la sua “Creatura” mostruosa ma accattivante

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Doveva rappresentare la perfezione, ma è diventato un mostro che, pur essendo nato buono, si è poi trasformato in cattivissimo e non certo per sua natura, ma perché rifiutato da tutti. E’ stata la società a renderlo cattivo, basando opinioni e giudizi esclusivamente sull’estetica. Eppure, nelle intenzioni del dott. Victor Frankenstein, tormentato scienziato, suo creatore, non doveva certo essere un mostro, pur se venuto fuori da quel che restava di corpi putrefatti e di vermi e organismi in decomposizione…

Quella narrata da Mary Shelley, del resto, è – appunto – la Creatura, non certo un figlio, quindi, né soltanto un esperimento sbagliato, nè tanto meno un novello Adamo: piuttosto l’esempio del sublime, del diverso che, in quanto tale, causa terrore a prescindere, ancor prima di aver compiuto azioni nefande, scellerate ed empie… “Mostro” a priori, appunto, solo per le fattezze, la forza insita, la capacità di imparare presto, di scavalcare limiti, di prevaricare. Eppure la prefazione cui aspirava il suo artefice era di altra natura, più focalizzata sulla resistenza superiore al dolore e agli attacchi delle morte. Doveva sconfessare la morte, la Creatura, doveva allontanare ogni sofferenza… ma finisce per provocarle in abbondanza, perchè allontanato egli stesso dal suo creatore, dalla razza umana che proprio non riesce a guardare oltre il suo aspetto orrendo. La Creatura portata in scena da Diego Sasso nello spettacolo da lui ideato, scritto e diretto, tenutosi al teatro Ariston di Gaeta lo scorso 16 marzo (a conclusione di un lungo e meticoloso lavoro di ricerca, stesura, selezione di interpreti, accurati costumi, scenografie, riprese cinematografiche e vere e proprie apparizioni sul palco, in un triennio di impegno estenuante ed entusiasmante, presentato al pubblico in 2 spettacoli distanziati nel tempo e di 3 ore ciascuno), è stata anche di più. Alla mostruosità del suo aspetto, della stazza, delle cicatrici sulla fronte, dei movimenti animaleschi, della forza bruta e dell’assenza di pietà umana, si è da subito aggiunta un’innocenza cristallina, generata da chissà quale rimasuglio di cervello, cuore e coscienza derivati da chissà quale resto di cadavere o tomba profanata. La bravura dell’interprete, Angelo Nastrelli, dalla voce implorante e accattivante, nelle basse tonalità giovanili e nelle vigorose impennate sulle difensive, ha saputo allettare l’immaginario del pubblico, conquistandolo, quasi volendolo adottare, coccolare, calmare, nonostante i delitti e le atrocità commesse. Sasso, nella sua nuova e convincente interpretazione del romanzo fiume che ha ben due secoli di vita, ha voluto insomma ridonare alla Creatura la giusta connotazione, il ruolo-chiave di esempio di quella pregiudizievole condanna della diversità che anima la società attuale, crudele nei giudizi, avara nell’accoglienza, pronta all’insulto di chi non risponde ai canoni imposti da certe convinzioni dettate da chiusure di confini mentali e geografici.  Un applauso ai testi, ai monologhi di Victor Frankenstein, ben interpretato da Max Vetro, all’apparizione in platea del “fantasma” della defunta madre di Mary Schelley ed altre trovate sceniche. Bene la chiusa poetica con Anna Maria Zupparti nelle vesti della scrittrice ormai anziana e l’ingresso di tutti i personaggi rivolti verso un orizzonte che invita al cambiamento e alla consapevolezza. Restiamo umani, insomma, il monito che supera i secoli e si affaccia nelle menti e nell’intimo sentire di chi guarda e ascolta.

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a cura di: S.C.