I DONI DEI PASTORI
I Vangeli ci narrano che i primi ad accogliere l’annuncio della nascita di Gesù bambino sono stati i pastori mentre erano alla custodia dei loro greggi. L’Angelo li chiamò ed indicò loro come segno il Bambino avvolto in fasce nella mangiatoia. Questo annuncio è riportato in tutti i canti della Chiarastella.
Così cantano tutti i suonatori delle novene che a migliaia ancora oggi attraversano il nostro bel Paese durante il periodo natalizio e in tutto il territorio laziale in particolare. E i pastori sono protagonisti di tutte le rappresentazioni popolari che fanno da corona alle narrazioni evangeliche. Rappresentano i poveri, destinatari privilegiati della buona novella portata dal Messia bambino. Ricevono un annuncio e rispondono ad una chiamata. Non hanno nulla di speciale, sono gente comune in cui tutti si possono identificare. Ecco perché nel gergo presepiale “pastore” è qualsiasi personaggio rappresentato nel presepe. Alcuni hanno un nome particolare come “Niniellolo sbantuso” (il meravigliato), il pastore inginocchiato con le braccia aperte e il cappello in mano, che nelle rappresentazioni presepiali napoletane è collocato su un punto alto della scena rivolto verso la stella cometa e, dopo il 24 dicembre, viene posizionato accanto alla grotta. Come i Re Magi anche i Pastori hanno ricevuto il dono dell’annuncio: i pastori per mezzo degli Angeli, i Magi tramite il dono dell’illuminazione che ha consentito loro di leggere i segni dei tempi. Gaspare porta in dono l’oro, simbolo del riconoscimento della regalità di Cristo; Melchiorre la mirra, sostanza aromatica vegetale utilizzata nelle mummificazioni che rappresenta il valore salvifico del Figlio di Dio e Baldassarre l’incenso, omaggio alla natura divina del Bambino Gesù. I pastori invece portano agnelli, caciotte, uova, verdure, pane, ed esprimono il desiderio di unire la propria vita a quella divina del Dio bambino avvolto in una mangiatoia.
Un altro dei personaggi più affascinanti e di grande valenza simbolica delle raffigurazioni presepiali è il pastore Benino. La leggenda popolare presenta questo personaggio mentre sta dormendo nello stesso presepe che sta sognando e, poiché quel presepe è il frutto del suo sogno, svegliare Benino vorrebbe dire l’istantanea estinzione del presepe. Ispirato dal passo evangelico che descrive l’annuncio degli Angeli ai pastori dormienti, il sogno di Benino non deriva però da un semplice sonno ozioso di un giovincello stanco ma rappresenta invece il momento in cui l’uomo accoglie nella sua totale pienezza l’evento straordinario del mistero dell’Incarnazione. Tanto che nel suo sognare egli stesso diventa protagonista delle trasformazioni del creato e della natura che gli appaiono attorno.
Ed è per questo che nei presepi il pastorello Benino viene collocato nel punto più alto della scena: perchè la sua visione, tra viottoli, discese, e dirupi, sfocia attraverso un viaggio denso di simboli ed interpretazioni nella grotta sottostante, dove sono collocati Giuseppe, Maria e Gesù Bambino.
Il valore simbolico di questo personaggio ha dato vita a numerose narrazioni fra cui quelle legate alla famosa Cantata dei Pastori, un’originale opera drammaturgica attribuita ad Andrea Perrucci, segnata da un successo plurisecolare nella forma sempre rimaneggiata e arricchita, pubblicata a Napoli nel 1698 con il titolo originale Il vero lume tra l’ombre. Nella Cantata la scena del primo atto si apre con il dialogo con Benino e il padre Armenzio che lo ha svegliato da un sogno straordinario in cui ha visto la terra trasformarsi in Paradiso. Attorno a questa scena sono nate anche alcuni componimenti musicali conosciuti come Il sogno di Benino, che vengono ancora eseguiti come prologo alle tante rappresentazioni di Presepi viventi meridionali, fra questi spicca l’esempio qui riportato diffuso nell’area del Lazio meridionale: