L’Italia in mascherina è un Paese che ormai stenta a riconoscersi.
Visi coperti, sguardi spenti, mani consumate dai disinfettanti e dal lavoro che ci manca. Finita l’estate, trascorso quello spiraglio di tempo in cui abbiamo creduto di poter vedere la luce, sperando che il peggio fosse passato eccoci di nuovo ad ascoltare il Presidente del Consiglio in tv.
Balconi chiusi, arcobaleni scoloriti, microfoni spenti, gli italiani non hanno più voglia di cantare e ballare. Il peso della crisi inizia a farsi sentire e la soglia della fine sembra non arrivare mai. Incartati tra nuovi e vecchi D.P.C.M, ordinanze regionali, provvedimenti del Sindaco, autonome decisioni dei presidi, l’impressione è che il Paese sia ormai allo sbando e ognuno faccia un po’ come gli pare osservando l’unica regola del “si salvi chi può”.
Nonostante le rassicurazioni elargite all’inizio della c.d. fase due, verso la fine dell’estate, con la chiusura improvvisa delle discoteche abbiamo iniziato ad avere il sentore che forse non stavamo andando per il verso giusto. Ecco arrivare i primi provvedimenti restrittivi a macchia di leopardo, tirando la coperta un po’ a destra e un po’ a sinistra e alla fine siamo rimasti tutti scoperti.
Il governo ora, cerca di correre ai ripari e il Paese si divide nuovamente chiedendosi se sia giusto o meno riapplicare determinate restrizioni. Ancora una volta ci troviamo davanti ad una scelta: salvaguardare il bene supremo della salute pubblica o incrementare l’economica, già fortemente compromessa, con la differenza, rispetto alla scorsa primavera che ora tra i cittadini si respira aria di insofferenza, intolleranza. Nessuno vuole più sentire la parola “sacrificio”.
Ma l’interesse a tutelare la propria salute non dovrebbe essere di tutti? La salute pubblica non è essa stessa un valore anche economico? Se ci ammaliamo non possiamo lavorare e quindi produrre, guadagnare. D’altro canto però, se stiamo tutti a casa a preservarci nessuno va più a lavorare e il Paese collassa.
Certo, molto avrebbe potuto risolvere il buon senso del singolo cittadino se tutti, tutti nessuno escluso, avessimo rispettato alla lettera le poche semplici regole che ci sono state imposte; e invece, complici le vacanze, la voglia di uscire dopo un lungo letargo, il proliferarsi delle illuminanti tesi negazioniste sull’esistenza del virus e delle sue conseguenze, i primi dati rassicuranti, i reparti covid chiusi, in realtà ce ne siamo tutti un po’ fregati della futura salute nostra e degli altri, abbandonandoci a feste, festini, cene private, vacanze intorno al mondo, week end alle terme, allenamenti in palestra a tutte le ore, scuole aperte, autobus stracolmi, treni pieni, metro inaccessibili e adesso, che sta succedendo ciò che si presumeva potesse accadere, gli italiani non ci stanno più a chiudersi in casa ad impastare pizza e focaccia.
Diciamo anche che in questi mesi, a parte un po’ di sano ottimismo ne abbiamo sentite veramente tante: dalla speranza (ormai delusa) che il virus sparisse, come per magia, da solo con il caldo dell’estate alle tesi complottiste di chi sostiene che il corona virus sia tutto un grande bluff studiato a tavolino, anzi in laboratorio per interessi economici legati alla vendita dei vaccini.
Anche quelli che dicevano che il virus attacca solo gli anziani o chi ha altre patologie sono stati ampiamente smentiti, così come quelli che lo volevano curare somministrando solo vitamina C per innalzare le difese immunitarie.
Insomma, forse è arrivato il momento di iniziare a capire che il covid è tornato, anzi non se n’è mai andato, che è una cosa che esiste realmente, cammina invisibile e silenzioso accanto a noi e non è solo una notizia del tg, che le regole di buon senso pur non essendo perentorie vanno rispettate, che sì, è vero, si fa fatica a incontrarsi a distanza, che probabilmente non ci si riconosce andando in giro con il viso semi coperto dalla mascherina ma l’importante è che riusciamo ancora a guardarci negli occhi.
a cura di: Alessia Maria Di Biase