Non solo anca. Anche la caviglia può aver bisogno della protesi
Si sta affermando sempre più l’intervento di protesi della caviglia per il trattamento di gravi forme di artrosi secondarie a traumi o a distorsioni ripetute, ma anche per la gestione delle artriti auto-infiammatorie. Al Policlinico Gemelli se ne occupa un centro ad hoc, il CIPEC (Centro Integrato per il trattamento delle Patologie del Piede e della Caviglia) che si candida a diventare un punto di riferimento per tutto il centro-sud.
Se la vostra caviglia è sempre più dolorante, soprattutto dopo un’attività fisica non impegnativa, tende a irrigidirsi o perde di mobilità, è spesso gonfia e comincia a deformarsi è arrivato il momento di andare da un ortopedico specializzato.
“A livello dell’articolazione della caviglia, nell’80% dei casi l’artrosi non è di natura degenerativa come accade ad esempio per l’anca o il ginocchio, ma è secondaria a traumi, cioè a esiti di fratture malleolari o di un intervento chirurgico non perfettamente riuscito o a traumi distorsivi ripetuti – spiega il dottor Gianluca Falcone Responsabile del CIPEC (Centro Integrato per il trattamento delle Patologie del Piede e della Caviglia), afferente alla UOC di traumatologia dello sport e chirurgia articolare di Fondazione Policlinico Gemelli, diretta dal professor Ezio Adriani –“. L’artrosi a livello della caviglia si verifica insomma per una deformità conseguente alla frattura della caviglia o per una instabilità cronica, secondaria alle ripetute distorsioni, che danneggiano i legamenti, portando appunto a instabilità dell’articolazione.
“In queste forme di artrosi secondaria a fratture o a traumi distorsivi ripetuti, ma anche nelle patologie infiammatorie reumatiche (in particolare artrite reumatoide e artrite psoriasica) – prosegue il dottor Falcone – trova indicazione l’intervento per protesi di caviglia”.
I sintomi dell’artrosi di caviglia sono gonfiore persistente, dolore cronico e ingravescente e impotenza funzionale (‘claudicatio’, cioè zoppia che può impedire una normale deambulazione). “L’artrosi di caviglia – ricorda il professor Ezio Adriani – può diventare estremamente dolorosa. Basti pensare al recente caso di Gabriel Batistuta, l’ex campione di calcio argentino, raccontato anche da un docu-film su Netflix, che per risolvere i suoi problemi ha dovuto fare le protesi a tutte e due le caviglie. Batistuta soffriva infatti di dolori talmente forti, che aveva pensato di amputarsi le gambe per cancellarli”.
La diagnosi di queste patologieè innanzitutto clinica e va fatta da un ortopedico esperto in questi problemi. “Molto importanti – spiega il dottor Falcone – sono poi le radiografie comparative e sotto carico delle caviglie; la RMN non è sufficiente, perché nel caso dell’artrosi il problema è osseo e dunque l’imaging va sempre integrato con una radiografia sotto carico. Se c’è un’indicazione chirurgica, e quindi bisogna avere una miglior definizione del danno, è utile fare anche una TAC”.
“Il trattamento all’esordio e nelle fasi iniziali – spiega il professor Adriani – è come per le altre articolazioni di tipo conservativo e prevede terapia con farmaci anti-dolorifici, trattamento ortesico (cioè plantare ed eventuale utilizzo di tutori o cavigliere e scarpe ortopediche); infiltrazioni con cortisonici o ortobiologia (cioè acido ialuronico, PRP (plasma ricco di piastrine) o tessuto adiposo); la fisioterapia in questa fase ha un ruolo limitato”. “Se il paziente non migliora entro 6 mesi – afferma il dottor Falcone – va valutato l’intervento chirurgico di sostituzione dell’articolazione con la protesica”.
Gli interventi di protesizzazione della caviglia sono nati circa vent’anni fa; ma solo di recente, grazie al miglioramento dei biomateriali (siamo arrivati alle protesi di terza generazione) e delle tecniche chirurgiche, questo intervento si è realmente affermato.
“L’intervento – spiega il dottor Falcone – prevede la sostituzione della superficie cartilaginea della tibia e dell’astragalo (le due componenti ossee che si articolano nella caviglia), con le componenti protesiche (rispettivamente tibiale e astragalica) in titanio, tra le quali si interpone un cuscinetto di polietilene, una plastica speciale che serve a mantenere la congruenza tra le superfici metalliche. Le protesi di ultima generazione sono solo di rivestimento (‘resurfacing’) e l’intervento risparmia l’osso (bone-sparing’) perché mira solo a ricreare la superficie articolare, più che a sostituirla. L’intervento dura circa un’ora e la degenza è di un paio di giorni. Tuttavia, visto che spesso la causa dell’artrosi è traumatica, l’intervento di protesizzazione può prevedere anche dei ‘gesti’ associati, come per riparare legamenti e fare osteotomie”.
La riabilitazione. “Nel caso in cui l’intervento preveda solo il posizionamento della protesi – spiega il dottor Falcone – la riabilitazione è precoce; da subito il paziente potrà muovere passivamente la caviglia e il carico potrà essere immediato. Nel caso di un intervento più complesso (come ricostruzione legamenti, osteotomia) bisogna rispettare i tempi di guarigione dell’osso che è di circa un mese prima di poter caricare (la paziente dovrà utilizzare per un mese i bastoni canadesi e poi fisioterapia per due-tre mesi. Quindi la ripresa delle attività quotidiane potrò avvenire dopo circa tre mesi e l’attività sportiva dopo sei mesi.
“Le tecniche chirurgiche oggi sono sempre più precise e personalizzate. A brevissimo – conclude il professor Adriani – anche per l’intervento di protesi di caviglia, ci avvarremo della robotica e della navigazione assistita dall’intelligenza artificiale”.
Visualizzazioni: 68a cura di: Maria Rita Montebelli