Tumore dell’ovaio, l’intelligenza artificiale predice le risposte alla terapia
I risultati di uno studio pubblicato sulla rivista “Nature Communications” che vede coinvolti anche esperti dell’Università Cattolica, campus di Roma e Policlinico A. Gemelli IRCCS. Grazie a questo tool si può personalizzare la terapia e migliorarne l’esito.
Sviluppato un tool basato sull’intelligenza artificiale che predice il successo della terapia nell’80% delle pazienti con tumori ovarici, inteso come riduzione volumetrica delle lesioni tumorali, con una accuratezza dell’80%, cioè di gran lunga superiore a quella dei metodi usati attualmente in ambito clinico. Lo strumento si chiama IRON (Integrated Radiogenomics for Ovarian Neoadjuvant therapy) e si basa appunto sull’intelligenza artificiale. Lo strumento va ad analizzare diverse caratteristiche clini della paziente, dal DNA tumorale circolante nel sangue (biopsia liquida) a caratteristiche generali (età, stato di salute, etc) ai marker tumorali e alle immagini della malattia acquisite con la TAC, e sulla base di esse esprime una previsione sulle chance di successo della terapia.
È il risultato di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista “Nature Communications”, realizzato su 134 pazienti con tumore dell’ovaio di alto grado, coordinato dalla professoressa Evis Sala, Ordinario di Diagnostica per immagini e radioterapia alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, e Direttrice del Centro Avanzato di Radiologia, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e portato avanti dall’Università di Cambridge.
BACKGROUND
Il tumore dell’ovaio colpisce ogni anno più di cinquemila donne in Italia, che si aggiungono alle oltre trentamila in trattamento terapeutico. Poiché nelle fasi precoci non dà sintomi specifici, spesso la sua diagnosi avviene quando la malattia è già a uno stadio piuttosto avanzato. Il carcinoma ovarico sieroso di alto grado è una delle forme più aggressive e rappresenta circa il 70-80% dei tumori ovarici: spesso presenta resistenza ai farmaci chemioterapici, ma a oggi la risposta alle terapie si può predire con una accuratezza massima del 50%.
Per questa forma del tumore, per di più, sono noti pochissimi biomarcatori clinicamente utilizzabili a causa dell’elevato grado di eterogeneità della malattia, che si diversifica molto da paziente a paziente.
Di qui è nata l’idea di sviluppare uno strumento basato sull’intelligenza artificiale in grado di predire con elevata accuratezza le pazienti che risponderanno alla chemioterapia.
LO STUDIO
“Abbiamo messo insieme due set di dati indipendenti con un totale di 134 pazienti (92 casi nel primo set di dati, 42 nel secondo set di test indipendente) – spiegano la professoressa Sala e la dottoressa Mireia Crispin Ortuzar di Cambridge. Per tutte le pazienti all’inizio (prima del trattamento), abbiamo ottenuto dati clinici, inclusi dati demografici e dettagli del loro trattamento, nonché biomarcatori presenti nel sangue come CA-125 e DNA tumorale circolante (ctDNA), nonché caratteristiche quantitative del tumore dedotte dalle immagini della TAC di tutti i siti tumorali primari e metastatici”.
Le localizzazioni omentali e pelviche/ovariche (le più frequenti per la diffusione del cancro ovarico) rappresentavano la maggior parte del carico di malattia all’inizio. I depositi nell’omento hanno mostrato una risposta significativamente migliore alla terapia neoadiuvante rispetto alla malattia pelvica. Inoltre le mutazioni tumorali (come TP53 MAF valutata sul DNA circolante) e il marcatore il CA-125 erano correlati con il carico complessivo della malattia prima del trattamento e alla risposta alla terapia.
Inoltre sulla base dell’analisi avanzata delle immagini TAC sono emersi sei sottogruppi di pazienti con caratteristiche biologiche e cliniche distinte, rivelanti per la risposta alla terapia.
Tutte queste caratteristiche del tumore sono state date come dati di input ad algoritmi di intelligenza artificiale che formano insieme il tool. Il modello così sviluppato è stato successivamente addestrato e la sua efficacia validata su un campione indipendente di pazienti.
“Da un punto di vista clinico, il framework proposto affronta l’esigenza insoddisfatta di identificare precocemente i pazienti che probabilmente non risponderanno alla terapia neoadiuvante e potrebbero essere indirizzati a un intervento chirurgico immediato – sottolinea la professoressa Sala –. “Il tool potrebbe essere applicato per stratificare il rischio della singola paziente anche in future ricerche cliniche che stiamo portando avanti al Policlinico Gemelli con la collaborazione del gruppo del professor Giovanni Scambia, Ordinario di Ginecologia e ostetricia alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica e Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS”.
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