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UNA FAMIGLIA DI CUORE

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“Il percorso dell’adozione non è solo un viaggio d’amore, è un strada in salita, una corsa a ostacoli non solo per i genitori ma anche per i bambini.

Questa storia racconta con grande onestà e sincerità una scelta che non è stata solo l’accoglienza di un bambino, ma anche l’accoglienza di rifiuti, pregiudizi, dolori, che mettono alla prova come coppia e come genitori.

A volte, certi eventi sembrano accadere per caso, ma poi alla fine, quando la meta è stata raggiunta ci si rende conto che tutto è stato il compimento di un disegno ben preciso. Sono due anni che il nostro cucciolo è con noi; due anni intensi, di vita vissuta intensamente come mai prima mi era successo.

Due anni meravigliosi perché guidati dall’Amore ma due anni di crisi, di pianti, di urla, di provocazioni, di sfide e poi piano piano di piccole conquiste, di un rapporto che prende forma, una fiducia che non è ancora completa e un attaccamento non ancora solido, perché ci vuole tempo, pazienza, costanza, determinazione e accoglienza. Se razionalmente siamo preparati, emotivamente siamo più fragili e di fronte a rifiuti secchi, a chiusure o a frasi taglienti che arrivano, anche se il bimbo è piuttosto piccolo, si soffre tanto e anche le nostre ferite tornano a sanguinare insieme a quelle di ogni bimbo adottato; ogni volta ci si rialza più forti perché basta guardare quel visino o sentire la sua risata o ricevere un abbraccio per trovare l’entusiasmo e allontanare la stanchezza.

Di fronte al loro dolore non possiamo fare altro che accoglierli, contenerli dimostrando di esserci sempre e comunque, anche se non li abbiamo generati noi.

Perché arriva anche quella domanda “mi vuoi bene, anche se non sono stato nella tua pancia?” e non si può fare altro che tranquillizzarlo, esternando tutto quello che si ha nel cuore mentre lo abbracci stretto stretto.

Era un Giovedì Santo quando scoprimmo che non saremmo mai diventati genitori biologici; quel Triduo Pasquale fu tremendo, doloroso, sentimmo tutto il peso della Croce abbattersi su di noi ma non tra di noi.

Ci volle un po’ di tempo perché ci sentissimo pronti ad aprirci all’Accoglienza consci del fatto che se a noi era stata negata la gioia di una maternità e paternità biologica, da qualche parte c’era un bambino a cui era stato negato il sacrosanto diritto di crescere amato in una famiglia. Fu così che l’unica strada che sentimmo nostra, per completare la nostra famiglia, fu quella dell’adozione. Iniziò tutto l’iter burocratico, fatto di visite, di incontri, di riflessioni e di studio perché non ero convinta (e ne ho avuto la conferma) che “bastasse l’amore”, frase che da più parti ci ripetevano oltre al “che bella cosa che state facendo”.

Abbiamo vissuto il tempo dell’attesa con serenità, senza l’ansia o la frustrazione che hanno altre coppie; non abbiamo vissuto l’attesa della chiamata del Tribunale per l’idoneità con palpitazione anche perché in quel periodo la nostra famiglia veniva messa alla prova dall’ esito drammatico di un intervento chirurgico a mio padre. Esito che ha rischiato di compromettere la nostra idoneità perché, di fronte alla situazione difficile e recente del nonno in stato di coscienza minima, il giudice ci disse che non riteneva quello il momento adatto ad accogliere un minore.

Uscimmo da quell’incontro tristi, provati ma non arrabbiati perché la motivazione del giudice era comprensibile; nel viaggio di ritorno da Genova avevamo la certezza che anche quella strada ci veniva preclusa perché, forse, la nostra chiamata era altra.

Nemmeno le lacrime per il progetto che sembrava sfumare per sempre alleggerirono per qualche giorno il nostro stato d’animo; ma la vita va avanti e con essa le idee e i progetti e così cominciammo a pensare tra noi all’eventualità dell’affido. Quando arrivò la telefonata dal Tribunale per ritirare il decreto, eravamo sereni perché avevamo elaborato quello che ritenevamo un risultato negativo. Fu una piacevole emozionante sorpresa scoprire che, invece, avevamo ricevuto l’idoneità. Nonostante tutto quello che ci era stato consigliato contattammo solo due enti ma eravamo rimasti talmente affascinati dall’approccio umano, accogliente e familiare di Ernesto che non cercammo altrove. Ungherese sarebbe stato il nostro bambino!!!

Iniziò la fase di accoglienza vera nei nostri cuori, cominciammo a fare posto a questo bambino, al nostro bambino anche nella nostra mente e nella nostra casa. Si cominciarono a selezionare foto, a scrivere favole, racconti, a pensarlo tra noi e con noi.

L’impatto linguistico ci servì per capire quale shock avrebbe vissuto il piccolo, qualunque età avesse. A chi ci chiedeva come lo immaginavamo rispondevamo testardo, dolce, ribelle e forte, perché solo un bambino determinato poteva affrontare un’esperienza così forte come l’adozione. Noi abbiamo scelto di andare da lui, lui ha dovuto accettare le scelte di altri; se per noi è naturale amarlo ancora prima di vederlo per lui non è così.

Se pensavo a nostro figlio, in qualunque contea si trovasse, rimanevo senza respiro a pensarlo così coraggioso da allontanarsi da tutto ciò che conosceva, lingua, suoni, profumi, colori, abitudini e persone di riferimento. E oggi, dopo due anni di vita insieme, mi rendo conto che avevo ragione e lui stesso lo dice, quando racconta la paura che ha provato quando è salito in auto… 4 Maggio 2014: abbinamento. Lì su dei fogli, la sua breve storia; in quelle pagine si parlava di lui, del nostro bambino, un bambino amato, cercato, desiderato e accolto ancor prima di conoscerlo. Nostro figlio era nato in un Giovedì Santo!

E poi la foto; due occhi color del cioccolato, vispi e dolci che si impressero nel nostro cuore.”

TRATTO DAL LIBRO “UN VIAGGIO CHIAMATO ADOZIONE” DEL CENTRO ADOZIONI INTERNAZIONALI

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